Sergio Scariolo, assistente di Nick Nurse ai Toronto Raptors freschi campioni NBA, si racconta

Sergio Scariolo, assistant-coach di Nick Nurse ai Toronto Raptors, si è raccontato ai microfoni de La Repubblica:

”La differenza fra lo scudetto della Scavolini e questo titolo? Altri tempi, altri mondi. A Pesaro vivevo in pratica in palestra, come facevano ai tempi i capi dei settori giovanili, quando mi diedero la Serie A. E fu più difficile che adesso. Io esordiente, con la squadra favorita. Quando finì, la sentii come una liberazione, uno zaino levato dalle spalle. Tutti gli altri successi, dopo, sono stati felicità. Incluso questo”.

I primi tempi in Canada sono stati duri – ”Già, capire le novità del lavoro che dovevo fare, cogliere in fretta come funziona qui. Mi capitava di veder chiara una situazione, di fare una proposta e vederla cadere nel vuoto. Anche quando piaceva. All’inizio subìvo, poi ho capito che il buon vice deve scegliere bene il momento e la forma, oltre il cosa proporre. Quando parlare, quando tacere. Perché gli staff sono numerosi, le voci tante, insomma parlare di più non è che aiuti”. Poi, sul suo ruolo – ”Sono uno dei tre assistenti principali, quelli seduti in panchina, davanti agli altri che stanno dietro. A rotazione, per una decina di partite, in stagione regolare i tre si scambiano aree di competenza:
attacco, difesa, situazioni speciali. Ai play-off siamo arrivati stabilizzati. Per me, l’attacco. Ma la circolazione di idee nello staff è in realtà senza steccati. Per dire, quando Nurse ha deciso che in finale in qualche azione avremmo usato difese miste per sorprendere i Warriors, una scelta che ha pagato, ero coinvolto: in Europa ‘box and one’ e ‘triangle and two’ sono pane quotidiano”.

Su Kawhi Leonard, Scariolo non ha dubbi – ”La stagione l’ha posto fra i primi tre. Ha un impatto, in attacco e in difesa, che solo Durant e LeBron oggi hanno. Quanto alla storia, lo dirà il resto della sua storia. Veniva da un anno di sostanziale inattività, è ripartito portando al titolo una outsider. Già questa è roba grossa, di pochissimi”.

Toronto Raptors franchigia internazionale, franchigia da open mind – ”Di sicuro questa è una franchigia aperta, dove l’aggettivo più usato è internazionale, e incarna tutta una filosofia. Il timbro canadese è non scimmiottare gli altri club, avere uno stile originale, che fa scommettere, e perdere anche scommesse, negli anni, senza però abbandonarlo come
principio. Qui, un anno fa, fu a un passo dall’assunzione Messina. Un italiano, mai visto nella Nba. A Toronto poteva succedere”.

Già, proprio su Ettore Messina che da poco ha firmato un contratto con l’Olimpia Milano lasciando la NBA, Scariolo affida alcuni pensieri – ”Senza Messina in gioco io primo allenatore italiano su una panchina NBA? No, sono arrivato da troppo poco. E mettendomi addosso obiettivi e ossessioni, senza probabilità né immediate né forti, mi prenoterei
solo una frustrazione. Quindi, sto qui, ho un contratto da vice e lo farò, mi raggiungerà la famiglia e avanti così. Poi, se succederà, o magari succederà prima che mi vien voglia di tornare indietro.

Un consiglio ad Ettore sulla nuova avventura di Milano? Più che un consiglio. Un input, forte e chiaro. E lo ringrazio ancora, per come fu categorico. Ci vedemmo e mi disse: Sergio, guai a te se anche solo ti sogni di mollare la panchina della Spagna. Io ci pensavo, avevo il dubbio di non farcela coi due incarichi. Poi, soprattutto in quel periodo un po’ tetro, tornare in Europa per le famigerate finestre delle nazionali fu per me tutta aria pura.

Ettore riparte da zero, con un libro bianco tutto da scrivere, in un doppio ruolo di coach e capo della società che è
duro, come constatai al Real Madrid, quando lo ricoprii. Mi permetterei, piuttosto, un consiglio alla società. Se credono che tutto si risolverà dando una delega ampia a un professionista eccellente, che poi ci pensa lui, non funziona così. C’è bisogno di una società forte, solida, impermeabile a ciò che passa da dentro a fuori e viceversa.
Ci saranno momenti in cui Messina dovrà spendersi anzitutto da allenatore, la solita routine da coach, vittorie e sconfitte. Lì servirà la società. Come l’Olimpia non ha fatto sempre, in questi anni”.

Su Marc Gasol la scorsa estate in aiuto ai migranti – ”È un ragazzo profondo, e non pomposo. Fa tanto per il sociale, mettono soldi, lui e suo fratello Pau. Vero, la sorpresa fu vederlo in quella foto. Non per lui. Per Marc era una cosa naturale essere lì”.

Infine, una battuta sulla Nazionale di Meo Sacchetti impegnata ai Mondiali cinesi – ”E’ un gruppo buono, con un numero alto di giocatori di livello, esperti su scala internazionale, già insieme da tempo. Se vanno tutti, come pare, nella stessa direzione possono diventare un collettivo temibile. Molto temibile”.