”Essendo il più piccolo di casa ero un mammone incredibile. Un sardo che va in continente per la prima volta è dura, davvero dura”
La prima convocazione con la Nazionale Senior non si scorda mai.
Adesso lo sa bene anche Marco Spissu; il playmaker della Dinamo Banco di Sardegna Sassari, natìvo proprio di Sassari e sardo doc, ha raccontato emozioni e sensazioni che questa prima apparizione con la canotta della Nazionale Senior Maschile ha suscitato dentro di se attraverso i canali social della Nazionale italiana. Prima di lui, un altro sardo di Sassari aveva raggiunto la Nazionale Senior: Massimo Chessa.
”Non so cosa mi aspetta, ho dentro un mix di emozioni. E’ tutto bello.
Sono veramente contento per questa chiamata, è come essermi tolto finalmente un peso che mi portavo dentro da un po’. Ancora ora non ci credo, dentro di me mi dico: ‘vabè è un sogno, sto sognando’. Prima di approdare a Napoli non sapevo nemmeno che numero di canotta avrei avuto. Speravo lo 0 e lo 0 è arrivato.
Mio fratello giocava a basket, mia mamma ha giocato a basket, mio padre è stato allenatore. All’epoca ero un nanerottolo che gironzolava con la palla più grande della sua faccia e tirava a canestro. Il mio programma sportivo era: lunedi calcio, martedi basket, mercoledi calcio, giovedi basket, venerdi calcio ed il fine settimana le partite. Alle volte capitava che andavo agli allenamenti di basket sporco di fango, era bellissimo.
Ero il più piccolo di casa, ed ero un mammone incredibile. Un sardo che va in continente per la prima volta è dura, è molto dura. Arrivai al CUS Bari e venne a prendermi il team manager della squadra per portarmi nella mia casa.
La mia nuova casa era grande quanto uno spogliatoio all’interno del palasport dove giocavo e facevo allenamento, quando la vidi gli dissi ‘ma come? E’ questa la mia stanza?’ Praticamente aprivo la porta ed avevo il campo di allenamento al piano di sotto. Praticamente se avevo allenamento alle 17, alle 16:59 mi bastava uscire per arrivare puntuale. Ricordo che non riuscivo a fare il riposo del dopo pranzo perchè sul campo c’era il minibasket; immagina questi bambini che fanno rimbalzare continuamente i palloni sul parquet senza sosta, e quindi ogni volta non riuscivo a riposare. Era davvero una tragedia.Avevo mille impegni, mille allenamenti. La finale, poi la maturità e poi son dovuto andare in Nazionale. Alla maturità per non perdere tempo mi sono presentato già con il borsone pronto, ed anche perchè cosi magari mi avrebbero aiutato dandomi qualche punticino in più anche perchè non sapevo praticamente niente (sorride ndr). Il passo successivo fu Casalpusterlengo nel 2014, li cominciai a giocare piano piano. La prima partita che giocai, partendo dal presupposto che non avrei mai giocato e che ero li soltanto per allenarmi, feci tipo 21 punti con 5/8 da 3. Alla fine di quella partita pensai che forse ci potevo stare in quel mondo li. Ricordo sempre questa didascalia che ho nella sveglia: ‘Never give up, fallo per la famiglia’ ed ogni mattina mi svegliavo con questo pensiero in testa. Una motivazione che mi portava a farlo non solo per me ma anche per loro essendo cosi lontano da casa.
Quando Ramagli mi chiamò a Bologna non potevo mica dirgli di no. Il derby, mamma mia, specialmente la prima che abbiamo giocato è stata la partita più bella che abbia mai disputato da quando faccio questo sport; ricordo che c’erano 9000 persone che urlavano ed il parquet vibrava, quindi sono entrato e mi son messo ad urlare a mia volta per scaricare l’adrenalina che avevo in corpo. A quel punto non sentivo più fatica, non sentivo nulla con i tifosi a darti energia. Una roba pazzesca.
Poi la Dinamo. Pozzecco arrivà a febbraio; sinceramente io non avevo una sua visione come allenatore, bensi quella del giocatore. La prima persona che prese fui io, da li scattò qualcosa dentro di me, un qualcosa che mi ha fatto sentire importante. Mi ha preso sotto la sua ala e mi ha dato fiducia. Adesso lui dice che non ha fatto niente e che ho fatto tutto io ma penso che se non ci fosse stato lui a darmi fiducia non penso che avrei fatto quello che ho fatto. Quindi un grazie lo devo anche a lui.
Giocare a casa mia è un qualcosa che non si può nè trasmettere nè spiegare perchè perderebbe di valore. Già soltanto esserci a Belgrado per giocare il Pre-Olimpico significherebbe tantissimo. Perchè piaccio? Non lo so, penso di non vantarmi, sono sempre disponibile, a volte ci sono ragazzini che mi chiedono consigli su Instagram e gli rispondo tranquillamente. Sono me stesso”.