Dennis Rodman, ex stella dei Bulls, ha raccontato dell’incontro con Kim Jong-un in Corea del Nord, nel 2013, durante il podcast ”Hotboxin’ With Mike Tyson”

Nel podcast ”Hotboxin’ With Mike Tyson”, Dennis Rodman ha raccontato dell’incontro con Kim Jong-un in Corea del Nord, nel 2013.

Considerato come uno dei più grandi rimbalzisti della storia NBA, ”The Worm” è noto al pubblico del basket mondiale non solo come 5 volte campione NBA con i Detroit Pistons e i Chicago Bulls ma anche come showman fuori dagli schemi: la vita spericolata di un atleta definito una rockstar, passando per le relazioni con Madonna e Carmen Electra fino all’incontro in Corea del Nord con il Presidente della Commissione per gli Affari di Stato nordcoreano Kim Jong-un:

”Quando mi è stato detto che sarei andato in Corea del Nord, pensavo che avrei firmato qualche autografo e giocato una partita di basket.

Sceso dall’aereo, ad attendermi c’era il tappeto rosso e un’ottantina di persone vestite elegantemente che mi ha circondato, chiedendomi se fossi contento di trovarmi nel loro paese. Ho capito che in quel paese la gente amava il basket.

All’esibizione con gli Harlem Globetrotters – racconta Rodman – ero vestito normalmente ed assistevo al match dagli spalti. Alcune persone mi chiesero di seguirle e in quel momento ho pensato mi volessero arrestare… mi avvicino a una delle grandi sedie che erano state poste a bordo campo e i 22mila presenti si alzano in piedi, applaudendo. Ho pensato che si stessero rivolgendo a me, alchè ho ricambiato il saluto ma un addetto mi ha fatto presente che il tributo era diretto al loro leader. ‘Leader di… cosa?’, pensai. Non avevo idea di chi fosse quell’uomo.

Kim Jong-un mi ha detto che apprezzava la mia compagnia e che avrei dovuto continuare la serata con lui dopo il match d’esibizione, tra vodka e karaoke. Solo che a cena abbiamo esagerato con l’alcol e Kim ha iniziato a cantare. Ero davvero molto ubriaco, non avevo idea di cosa stesse dicendo. Poi arriva un coro di ragazze e comincia a intonare sempre la stessa canzone, mi pareva la sigla di ‘Dallas’.

Quando sono stato in Corea del Nord, la figlia di Kim aveva solo sei mesi, giocavo con lei e le ho regalato anche una mia maglietta. Era come se fossi uno di famiglia. Poi, però, quando sono tornato negli Stati Uniti mi sono accorto che il mio cellulare era spiato. Per questo motivo ora ne uso uno vecchio stile, di quelli a conchiglia”.